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La mia intervista su “Virtù Quotidiane”

L’AQUILA – Eva Martelli, regista e attrice teatrale aquilana da anni trapiantata a Lanciano (Chieti), ripercorre la sua carriera prefigurando idee future senza fermarsi un istante: racconta il teatro e si racconta attraverso esso, tra nuovi progetti, ricerche e ricordi.

Forse che il segreto di un dialogo autentico stia proprio nel colloquiare con qualcuno che, come nel caso di Eva, sia in possesso di una profonda cultura e che sia in grado di trasmetterla con reale leggerezza? Qualcuno che sappia parlare delle proprie esperienze artistiche senza concentrarsi su se stesso ma sul ruolo di tramite che si trova a rivestire rispetto all’arte, in questo caso il teatro; qualcuno insomma che conviva così consapevolmente con la propria passione da non necessitare nient’altro che se stessa, senza fronzoli, esaltazioni né inutili vanti.

Formatasi in recitazione all’Accademia nazionale di Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, Eva è da anni autrice e interprete di spettacoli intensi e importanti, attenti soprattutto ad accendere o a riaccendere i fili della memoria e della coscienza sociale, elementi imprescindibili per la costruzione di una società sana, all’interno della quale il teatro può e deve essere protagonista.

Eva, quali sono state le figure e gli episodi che hanno influenzato la tua curiosità artistica?

La mia curiosità artistica è stata influenzata dalla lettura e dalla visione di spettacoli teatrali avvenuta durante l’infanzia e l’adolescenza. Mio padre era un cultore dell’arte teatrale, specialmente della grande tradizione del teatro napoletano, e in casa avevamo molti libri. Il teatro di Eduardo e La gatta cenerentola di De Simone hanno lasciato un segno nella mia formazione iniziatica. Quando ho deciso di intraprendere la strada della formazione attoriale ho avuto la fortuna di incontrare maestri che hanno contribuito a sviluppare la mia curiosità. Tra questi, sicuramente Lorenzo Salveti, Andrea Camilleri, Kenneth Rea e Alan Woodhouse della “Guildhall School of Music and Drama” di Londra, Marisa Fabbri e Daniele Fracassi con il quale ho condiviso vita privata e palcoscenico.

Ti sei laureata in recitazione presso l’Accademia nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” e hai fondato, insieme al tuo compagno e artista di teatro Daniele Fracassi, recentemente scomparso, la compagnia teatrale “Il piccolo resto”. Quanto è difficile e quanto è bello gestire e portare avanti progetti teatrali?

Il percorso di ricerca intrapreso con Daniele e la compagnia “Il piccolo resto” ha segnato una svolta nel mio rapporto con la scena. Ho compreso, da quel momento in poi, quanto fosse fondamentale perseguire la strada dell’indipendenza. Il teatro ti dà la possibilità di veder realizzate le tue visioni. I progetti nascono dalla relazione con la contemporaneità o da necessità interiori. La libertà artistica ti esalta, ma è una strada in salita. Oggi, solo la condivisione e il sentirsi parte di una comunità teatrale ti consente di portare avanti i progetti che hai in mente. “Il piccolo resto” è nato proprio dall’esigenza di fare ricerca senza compromessi e di sviluppare una visione propria del fare teatro. Abbiamo avuto la possibilità di fare anche esperimenti arditi come spettacoli per un solo spettatore, pièce comiche in versi o messinscene di romanzi. Una vera e propria palestra che si fonda sull’artigianato teatrale: mettersi in gioco continuamente su tutti i fronti. Nasce così la mia curiosità per la drammaturgia e la regia. Continuo a mettermi alla prova con progetti particolari. Tra marzo e maggio porterò in scena uno spettacolo che indaga la relazione tra la resilienza e l’arte, legato ad un episodio della seconda guerra mondiale e un lavoro su Marco Pantani. Entrambi debutteranno al Teatro Fenaroli di Lanciano nell’ambito della Stagione teatrale.

Attraverso il teatro hai raccontato storie abruzzesi ancora poco note. Dalla rivolta delle tabacchine di Lanciano alla tragedia dei minatori abruzzesi a Marcinelle, passando per il mito di Majella Madre fino alla figura di Celestino V, quanto è grande la potenzialità narrativa della nostra terra e secondo te perché?

L’Abruzzo è una terra di dolore, segnata da lutti e tragedie ed ha un’anima sacrale. Le montagne aspre disseminate di eremi e chiese testimoniano una relazione antica con il divino. Anche le leggende mescolano sacro e profano. La terra, difficile da domare, fa nascere fiori dell’immaginario.

Dopo aver avuto così tante e importanti esperienze sia come attrice che come regista, te la sentiresti di affermare che il teatro può essere azione sociale?

Sì, ne sono profondamente convinta. Soprattutto dall’esperienza fatta in questi ultimi anni. Ho intrapreso progetti teatrali di natura civile, grazie anche agli incontri con persone animate dall’esigenza di indagare storie passate e recenti della nostra Repubblica o temi caldi come il lavoro e ho verificato che la pratica teatrale sia da spettatore che da interprete aiuta ad essere cittadini più consapevoli. Il fatto di “mettersi nei panni degli altri” sviluppa la capacità di comprendere l’altro e aiuta a leggere la realtà che ti circonda. Nel progetto “Teatro di comunità” sul tema del lavoro confluito nello spettacolo “La città del tabacco” che è andato in scena l’anno scorso ho coinvolto 53 cittadini e cittadine di Lanciano in un percorso di cittadinanza attiva che si è espresso attraverso il linguaggio teatrale. Un esperimento che mi ha mostrato ancor di più la valenza di azione sociale del teatro. Un lavoro che ha evidenziato anche la capacità comunitaria di accoglienza delle minoranze e il senso di solidarietà verso coloro che hanno difficoltà di integrazione.

A quale esigenza risponde il teatro che fai? Si può fare teatro uscendo dai luoghi istituzionali?

All’esigenza primaria di verità e di comunità. L’esigenza primigenia del rito teatrale. E poi c’è anche la provocazione, lo stimolo al dibattito, al confronto. Il teatro è luogo di pensiero. Si può e si deve fare. L’istituzione è come la scuola. La devi lasciare dopo averla frequentata.

L’Aquila e Lanciano, le tue due città, così distanti e così vicine, a seconda delle prospettive. Cosa le accomuna e cosa le rende diverse?

Le accomuna il passaggio della storia. Le pietre antiche e i miracoli. Le rende diverse l’orizzonte. A L’aquila non puoi vedere il mare, a Lanciano sì, con quello che ne consegue per di chi le abita. Per me sono anime elettive, perché una è stata la casa della mia prima vita, l’altra quella della seconda. Nella mia mente è una sola città. Forse una delle Città invisibili di Calvino.

Hai condotto e conduci nella nostra regione, laboratori teatrali per studenti di scuole di ogni ordine e grado, lavorando molto con i bambini. Come descriveresti il loro approccio alla materia teatrale?

Quanto potrebbe dare il teatro delle scuole? I bambini sono coloro che riescono a recitare nel senso più profondo del termine. Sono capaci di immedesimarsi e al tempo stesso essere pienamente consapevoli del gioco di finzione. Per questo, quando posso, mi piace fare teatro con loro o coinvolgerli negli spettacoli. Indago la loro capacità creativa che poi si perde quando si diventa adulti. Il teatro dovrebbe diventare materia curricolare per il suo potenziale formativo sia nello sviluppo delle competenze che del senso critico e della percezione di sé e dell’altro da sé. Uno dei miei tanti sogni è quello di dar vita ad un progetto speciale sulle arti sceniche per l’infanzia e l’adolescenza. Non si sa mai…Alle volte i sogni diventano realtà. 

A cura di Valentina Di Cesare

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